Si scende, sempre più in basso...

Per il giovedì mattina, sor Adriana, la superiora delle madri del P.A I.P.I.D. (Proyecto Ayuda Integral Persona Inmuno Deprimida) ci aveva proposto di accompagnare due madri nella loro opera di evangelizzazione nella comunità lì attorno. Ovviamente accettammo, desiderosi di renderci disponibili per ciò che serve e anche curiosi di conoscere nuove realtà. Così giovedì 7 prendemmo il camiòn (occhio all'accento, qui significa autobus) insieme a Guillermina e Yessica (sì, si scrive così) e ci dirigemmo a Valle Verde, una delle regiones più esterne della parrocchia di Fatima, oltre lontana della Ciudad de la Alegrìa. Sapevamo che era una zona povera, ma tra immaginare e vedere ci sono tanti gradi di povertà... Questa colonia, e entrando ci chiedemmo il motivo di questo appellativo, ma lo avremmo scoperto presto, ha un solo ingresso, lungo lo stradone per Mèrida, che da sulla strada principale, sulla quale ci incamminammo seguendo le due suore, che, ormai abituate, neanche sembravano guardarsi attorno. Noi sì, invece, e la differenza con la periferia di Cancun, che a confronto con il centro ci era sembrata povera, risalta, evidente, al primo sguardo: il cemento è quasi scomparso, le case sono costruite per lo più in legno e le finestre non conoscono vetro; i marciapiedi sono un ricordo che proseguendo svanisce in fretta, sostituiti da qualcosa che a Cancun ormai è quasi sparita, la terra, l'erba; i negozietti sono tutt'uno con le case, le insegne dipinte sulle pareti bianche lasciano il campo a pennellate incerte su assi e pali di legno.
La strada all'inizio era asfaltata, anche se piena di buche, ma in asfalto, però mentre avanzavamo anche quest'ultimo residuo di urbanizzazione cedette il passo alla terra battuta, che più avanti ancora non era nemmeno battuta e spesso si tramutava in fango. Sì, perché più la strada avanza più la povertà la segue, avanzando anch'essa.
Ci immettemmo in una laterale, tra edifici sempre più cadenti, sempre meno “case”, altra curva, poi indietro, le suorine non si raccapezzavano bene, ed era comprensibile, perché le strade ormai si distinguevano a fatica dallo spazio tra le case. Ci fermammo davanti ad una di queste, per entrare a visitare una signora malata, seduta con sofferenza sull'amaca della stanza da giorno, tra una carcassa di lavatrice e gli scaffali con gli oggetti da cucina; su altro lato il mobile con lavandino e fuoco, dietro la donna una porta dà sulla stanza da letto, con altre amache. È malata di cancro allo stomaco, due giorni prima, per la debolezza, era caduta e quasi non riusciva più a rialzarsi. Al momento era solo, ma i suoi figli sarebbero presto rientrati, per fare i lavori di casa e cucinare quel poco di cibo che hanno. Le madri e noi due non potemmo fare molto di più che ascoltarla, parlarle e salutarle, ma dopo essere usciti ci spiegarono che l'avevano conosciuta grazie alla segnalazione del loro “contatto” nell'area, una signora che bada alla capilla, e che ora sembra che la Caritas si muoverà per sostenerla con alimenti e medicine. Dopo questo inizio forte e drammatico riprendemmo a camminare, sempre più avanti, lungo la principale, per arrivare verso il nulla. O meglio, prima incontrammo un oggetto alieno, un grande edificio in cemento, in costruzione, dipinto di giallo, con il tetto rosso. “E quello cos'è?” “è la nuova scuola”. Ottimo, già ci sono delle “scuole”, qui, ma questa sarà davvero bella, un vero segno di speranza!
Ma dopo appunto, arrivò il bello: la zona dove ci stavamo dirigendo per incontrare la gente era alla fine della colonia, al limitare della selva. E qui appunto comprendemmo il significato di "
"colonia": in queste aree extraurbane si concentrano le varie ondate di arrivi dall'entroterra, la gente che si trasferisce verso il grande centro dove dovrebbe esserci lavoro, denaro, ma dove per loro, adesso, c'è solo povertà. Sono quindi proprio "colonie", che si ingrandiscono in fasi successive, chiamate non a caso “invasioni”, perché le famiglie si appropriano di terreni abbandonati, ma non liberi da proprietari, che presto o tardi arrivano e constatando l'occupazione, non scacciano ma chiedono l'affitto. Lì, a Valle Verde, gli ultimi arrivi risalgono a qualche mese fa e per questo ancora la situazione è tremenda: le case, lì in fondo, non sono più nemmeno tutte in legno, perché sono costituite solo da qualche palo e pareti di cartone, lamiera, o alla peggio teloni di plastica. Il terreno è ancora selvaggio, pieno di pietre, erba incolta... e spazzatura: ovunque, in mucchi più o meno grandi, in singoli oggetti, questa è la dominatrice di Valle Verde e soprattutto di questa zona nuova. Qui non ci sono strade, ma nemmeno sentieri, per cui ci muovemmo a fatica, da una casa all'altra. Visitammo varie famiglie, presentandoci, salutandole e dando notizie sulla presenza di una capilla lì a Valle Verde e sulla possibilità di ricevere i sacramenti e di inserirsi insomma nella vita religiosa della comunità. A volte sembrava strano, quasi ridicolo, sembrava di non star facendo nulla, di non poter fare nulla per loro, ma in fondo la gente era contenta, di ricevere una visita, di sapere che c'erano queste possibilità per i propri figli e ci si rende condo che dove non si puo' aiutare materialmente si puo' aiutare in altro modo, per soddisfare esigenze diverse, che sembrano secondarie ma non lo sono, anzi, a volte quelle spirituali vengono prima!
Certo di povertà ne avevamo già vista, ma ogni volta che si ridiscende cosi' in basso si rimane toccati nel profondo del cuore. Inoltre qui era davvero grave, soprattutto perché appunto era nuova, forse tra un po' di tempo andrà meglio, come ci disse un signore assai simpatico, Crispino: "adesso c'e' un po' di confusione, ma e' ´perche' abbiamo appena cominciato, poi sara' meglio". Che ottimismo, che umilta' e che speranza!!! C'e' da imparare, moltissimo!
È stata un'esperienza forte, ma buona, perché finalmente siamo venuti a contatto con una vera realtà di missione, perché abbiamo visto quanto lavoro c'è da fare in queste comunità.
A presto dovremmo appunto cominciare a lavorare con alcuni ministri in luoghi come questi...


Per le foto non crediamo servano didascalie...

2 commenti:

chiara ha detto...

carissimi,
grazie di questo nuovo messaggio... dura, eh? eppure, quanti milioni e milioni di gente vive così!
il Signore vi accompagni e vi guidi: portate la vostra ricchezza spirituale, il vostro amore, le nostre preghiere!
vorrei essere un po' lì, vicino a voi, per condividere da vicino... ma va bene lo stesso.
Mattia, ricordati che mi hai detto "vado anche per te, mamma!".
un caro "strucco" all'Elena!
vi accompagni tutto il mio amore,
mamma chiara

Patrizio ha detto...

ciao ragazzi
noi continuiamo a leggervi, tra l'altro sto anche stampando i vostri racconti/impressioni, almeno non è sempre necessario accendere il PC e...magari a leggere su carta sembra di essere un pò più vicini.
A parte i nostri di nuovo..auguri...baci...abbracci...condivisione di quello che state facendo (potessimo farlo anche fisicamente ma ho paura che anche fossimo li saremmo quasi di peso, visti i miei problemi e visto quello che ci raccontate!)vi mandiamo anche gli auguri e una benedizione del parrocco di San Filippo Neri. E' venuto a benedire la casa e quando ha saputo quello che stanno facendo una figlia e il marito, sembrava quasi sollevato che vi fosse ancora qualcuno che fa queste cose.
Grazie di esserci, ragazzi....