Oltre la zona "in", verso la povertà...

Finalmente mercoledì, dopo giorni di attesa e incontri e telefonate mancati, incontriamo Padre John (e vi lasciamo immaginare la pronuncia messicana di questo e altri nomi inglesi...), il fantomatico padre irlandese con cui dovremmo collaborare. Ci è sempre stato presentato come un ottimo sacerdote, ma di poche parole, che lavora tanto quanto non parla. Siamo quindi un po' intimoriti di fare la conoscenza di questo uomo silente, ma quando lo incontriamo nella casa cural, palazzina molto elegante, con squisito giardino interno, dove abitano i padri, si rivela essere molto più affabile del previsto. Ci presentiamo, raccontandogli le nostre esperienze di lavoro pastorale e offrendogli le nostre capacità e il nostro servizio, dopodiché comincia la scoperta della nostra area di lavoro, la parrocchia di Fatima, affidata da circa 16 anni appunto a Padre John. Secondo il nostro irish, Cancun si divide in tre zone, quella hotelera, lussuosa e puramente turistica, il centro (vicino al mare), dove vivono la famiglia che ci ospita e i padri, con case e auto più o meno ricche, e la zona più interna, che diventa sempre più povera man mano che ci si allontana dalle altre due. Fatima sta appunto in quest'ultima; è una parrocchia molto grande, divisa in cinque settori, ciascuno comprendente dalle 4 alle 7 comunità, che si riuniscono attorno a capillas più che a iglesias; infatti di chiese vere e proprie, in muratura, ce ne sono solo 3 (quella centrale di Fatima, Sagrado Corazon, e San Miguel Arcangel, ancora in fase di completamento), mentre le altre sono semplici coperture per celebrare la messa, alcune davvero misere, come quella che abbiamo visto in mezzo a uno spiazzo pieno di materiali da costruzione abbandonati, fatta con pali di sostegno in legno, uno dei quali è un albero ancora vivo, e tetto di frasche. E sì che ne abbiamo visitate solo alcune, e non quelle delle comunità più distanti. Come le capillas, anche il resto segue la tendenza: più ci si addentra nella periferia più la povertà si fa evidente, nelle case anguste e attaccate, nei negozi sempre più piccoli, nella sporcizia e nell'incuria ai bordi delle strade, nel fondo stradale che mostra buchi sempre più profondi e nei vestiti della gente o nei piedi scalzi di alcuni bambini. Il livello comunque qui non è ancora bassissimo, i negozietti offrono di tutto, la gente non sembra passarsela male, ma quello che colpisce è la differenza con il centro, così vicino (è questione di un quarto d'ora) e così lontano, e soprattutto l'impoverimento continuo della situazione, di incrocio in incrocio. E, di nuovo come per le capillas, ancora abbiamo visto poco, perché ci sono comunità che vivono in condizioni decisamente peggiori, ancora senza energia elettrica. Ci vengono in mente le Filippine, sia per questo impoverimento costante uscendo dal centro, sia per la struttura delle strade, per i negozi con le insegne dipinte sulla facciata e tutti attaccati uno all'altro, ma in fondo anche Nyahururu, in Kenia, non era tanto diversa, la povertà rende tutto abbastanza uguale; forse però la somiglianza con Calbayog e Dolores, le due città in cui siamo stati con Padre Amelio, è dovuta anche al fatto che le Filippine sono state a lungo dominio spagnolo e i legami a livello culturale, o meglio di caratteristiche sociali, si vedono ancora, uniti alla comune influenza del modello americano-occidentale, del consumismo e della pubblicità, a cui siamo ormai abituati ma che colpisce sempre molto quando si fa strada anche in contesti molto diversi come livello di ricchezza.


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